"IL DENARO"

8 maggio 1999

L’Algeria è ancora lontana dalla democrazia

di Michele Capasso

Venerdì 16 aprile 1999. Genova. Sala giunta della Provincia. Si costituisce, promossa dalla nostra Fondazione e da altre istituzioni, l’associazione "Donne del Mediterraneo". Presidente viene eletta all’unanimità Khalida Messaoudi, membro dell’Accademia del Mediterraneo e parlamentare algerina.

Durante l’atto costitutivo Khalida telefona più volte ad Algeri. Vuole sapere i risultati dell’elezione presidenziale in Algeria. Ha tra le mani alcuni giornali del giorno prima. "Le Matin" titola a tutta pagina "Bouteflika contro se stesso: i sei candidati si ritirano e Zeroual – il presidente uscente – decide che le elezioni si svolgeranno anche se con un solo candidato". E così è accaduto. L’Algeria ha offerto al mondo intero l’inedito spettacolo di un voto pluralista con un candidato unico, allontanando di molto la democrazia nei confronti di un popolo che per cultura, tradizioni e legami con l’Europa ha da sempre bisogno di pace, dialogo e libertà. Nel mese di novembre del 1997, tutti i partiti politici rappresentati all’Assemblea algerina, convennero che le elezioni future avrebbero dovuto essere vincolate ad un minimo di garanzia per prevenire le frodi elettorali. Nel settembre 1998 il partito dell’Unione dei democratici (RCD), del quale fa parte la Messaoudi, chiese al governo algerino le seguenti garanzie: 1. Produrre una legge elettorale che consenta ai rappresentanti dei candidati di poter ottenere una copia del processo verbale di ogni seggio. 2. Far si che i corpi militari costituiti possano votare nei luoghi di residenza e non nelle caserme sotto controllo dei superiori.3. Ridurre i seggi itineranti – dov’è più facile avere brogli – allo stretto necessario e solo per villaggi isolati. 4. Effettuare lo spoglio giornaliero dei voti degli immigrati che, spesso, è oggetto di alterazioni finali dopo sei giorni di voto. 5. Assicurare la presenza sistematica di osservatori stranieri. Queste garanzie minime per un paese democratico non sono state applicate e il RCD, prevedendo che le elezioni del 15 aprile, come le precedenti, potessero produrre una nuova frode elettorale, hanno invitato il popolo algerino a boigottare le elezioni. Dopo la libertà d’espressione e la pluralità politica Khalida sostiene che non è più possibile accettare frodi elettorali. "Conto molto sulla comunità internazionale – mi dice – affinché possa esserci in Algeria una legge elettorale giusta e democratica per garantire sicurezza, legalità e trasparenza. Non importa chi vinca: oggi è indispensabile fermare la violenza. Sono sette anni che in Algeria il sangue scorre: più di duecentomila morti e donne e bambini violati, frustrati per sempre. I Paesi dell’Unione europea, specialmente quelli che si affacciano sul Mediterraneo, devono convincersi che abbiamo un destino comune. Tutti i popoli che si affacciano su questo mare, per ragioni storiche e geografiche, avranno la stessa sorte. Occorre aiutare i popoli della sponda Sud a ritrovare la pace, la comprensione e la prosperità". L’amica algerina è battagliera come non mai e continua ad incitarmi anche durante il pranzo. Mi chiede di appoggiare con l’Accademia del Mediterraneo la proposta di far riconoscere la lingua berbera come lingua nazionale algerina: è un segno importante per valorizzare la multiculturalità di questo popolo. Ritorno a chiedergli commenti sulle votazioni. Leggiamo un giornale italiano dove si afferma che il 60% degli algerini ha partecipato al voto. "Io sono convinta – dice Khalida – che in Algeria non più di un terzo degli aventi diritto abbia votato. I militari da noi controllano tutto: anche i seggi volanti nel deserto e quelli (inutili) predisposti nel centro di Algeri e che nessuno controlla". E mostra un giornale algerino con una vignetta satirica dove un militare bussa ad un’urna elettorale e dice "Bouteflika ora puoi uscire, si sono ritirati tutti". Non ride Khalida. È triste. Mi parla di un problema che le sta molto a cuore. Un aiuto psicologico per i piccoli orfani algerini. Un aiuto difficile. Perché quasi tutti i figli delle tante vittime di sfrenati eccidi sanno chi è l’assassino dei propri genitori e, spesso, si trovano a dover convivere con i coetanei che sono figli degli assassini del proprio padre o della propria madre. Questa condizione, difficile a viversi, è ancor più frustrante del delitto in se. L’Algeria ha bisogno di pace e democrazia. È assurdo che gli algerini abbiano cominciato ad ammazzarsi tra loro in nome di un fanatismo religioso che nulla ha a che fare con la ricchezza delle varie identità. Non importa oggi chi vinca le elezioni e se sia capace o meno di governare un paese ricco che non riesce a distribuire le sue risorse. È necessario fermare la violenza ed assicurare pace, sicurezza e democrazia. Su queste basi sarà possibile costruire, faticosamente, un futuro migliore.

I paesi europei ed occidentali hanno anch’essi una grande responsabilità. Bisogna avere la forza e il coraggio di strutturare un’autentica politica mediterranea. L’Unione europea deve comprendere che l’insieme euromediterraneo è inscindibile e che politica, cultura, pace e sviluppo economico sono strettamente connessi tra loro. L’Algeria non può essere abbandonata a se stessa o, peggio, essere considerata solo da un punto di vista economico per essere un’importante fornitrice di energia per i paesi occidentali. Senza una visione d’insieme, senza una rivalutazione e valorizzazione dell’importante patrimonio culturale e umano dell’Algeria non sarà possibile attivare quel partenariato sociale che è alla base dello sviluppo economico necessario per creare un’area di prosperità condivisa nella regione mediterranea. Garantire lo svolgimento di elezioni democratiche significa assicurare pace e sicurezza al popolo algerino: i paesi europei devono assumere impegno in tal senso, anche utilizzando l’arma convincente dell’embargo economico e mettendo da parte, per una volta, interessi di parte. Di non trascurabile importanza è il ruolo dei media occidentali. Senza nulla togliere alla gravità dei delitti e delle atrocità commesse dai Gruppi Islamici Armati in Algeria, è tuttavia necessario non ghettizzare le informazioni su questo paese dove, nonostante tutto, esiste un patrimonio culturale ed una ricchezza umana di grande valore: assicurare una informazione diffusa sugli aspetti "positivi" dell’Algeria – ad esempio il turismo, il patrimonio ambientale, i canti, le tradizioni, ecc. – significa concorrere al suo processo di integrazione e all’allontanamento dello spettro di un inutile fanatismo.