Siviglia, dove il flamenco diventa poesia

Conclusa nella capitale andalusa la seconda conferenza di Euromed audiovisuel

 

 

Siviglia, 6 luglio 2001. La capitale andalusa ospita la seconda conferenza del programma comunitario “Euromed audiovisuel”. Sei i progetti selezionati con gara d’appalto internazionale nel 1999, tra cui “Cinemamed”, attivato e strutturato dalla nostra Fondazione con 27 partner di Paesi euromediterranei.

Ed è proprio “Cinemamed” l’unico tra i 6 progetti ad aver rispettato tempi, azioni e regole contrattuali: anzi, nonostante una riduzione sostanziale del budget previsionale, l’azione (comprendente un Festival del Cinema dei Paesi arabo-mediterranei; due workshop per formazione di sceneggiatori; il restauro dei film di Abou Seif ed una sua retrospettiva ed altre azioni collaterali) è stata svolta in molte più città di quelle previste, ottenendo una visibilità ed effetti moltiplicatori notevoli che, di fatto, assegnano a questo progetto la titolarità di miglior progetto per il 2000-2001. Una visibilità riscontrabile negli oltre 60.000 spettatori che hanno partecipato alle  8 tappe del festival. 1.400 articoli di stampa, oltre 140 minuti di servizi sulle televisioni dei vari Paesi, un sito internet primario visitato da circa 90.000 utenti, 7 siti secondari realizzati dai partner, 48 città che hanno chiesto di poter svolgere anch’esse il festival: ecco alcune cifre che danno il senso della concretezza dell’azione.

Ed è proprio in considerazione di ciò che, nelle conclusioni della conferenza, è stato proposto di continuare l’azione di Cinemamed affidando alla nostra Fondazione l’incarico di svolgere un’azione comune al programma Euromed audiovisuel, comprendente la realizzazione di un catalogo in lingua araba, un cd rom interattivo e lo svolgimento del festival  in altre 8 città: Napoli, Tunisi, Beirut, Atene, Siviglia, Rabat, Marsiglia, Roma.

A Siviglia ci siamo riuniti con i responsabili di “Sevilla global” per analizzare le azioni da intraprendere nell’ambito della consociazione “Euromedcity”. Il bureau di questo organismo ha esaminato la proposta della Città di Caserta di insediare nel Belvedere di San Leucio le “Città capitali euromediterranee”, con spazi di rappresentanza e la presenza di funzionari delle varie amministrazioni. Una vera e propria “Capitale del Mediterraneo” per la cui realizzazione è necessario un accordo tra il Comune di Caserta, la Regione Campania ed il Governo italiano: una splendida occasione di utilizzo di un contenitore di straordinaria bellezza in cui, insieme al Museo virtuale del Mediterraneo, questa sezione di “Euromedcity” potrebbe fornire quel respiro internazionale necessario ad una città come Caserta per riaffermare una sua antica vocazione. La capacità di costiture “sistema-paese” è la sfida che ci attende e l’Italia, su questo tema, ha ancora molto da fare. L’appello del presidente della Regione Campania Bassolino ad instaurare corretti e fruttuosi rapporti istituzionali, in un momento storico in cui, ad esempio, la Regione Campania, la Città di Caserta ed il Governo nazionale appartengono a diversi schieramenti politici, deve essere ascoltato ed attuato: il rischio è l’isolamento dai processi globali e la perdita di consistenti risorse e di irripetibili occasioni per il Paese, per la Regione e per le Città principalmente interessate.

La Spagna, su questo tema, ha fatto passi da gigante occupando posti strategici negli uffici comunitari e nelle organizzazioni internazionali.

Siviglia, 9 luglio 2001. Nel padiglione italiano disegnato da Gae Aulenti, oggi sede di Sevilla global, si svolge un seminario sulle opportunità offerte dai programmi comunitari per le imprese. Funzionari spagnoli di vari uffici della Commissione europea, con grande senso di appartenenza, hanno istruito _ fornendo adeguate indicazioni tecnico-metodologico-procedurali - le imprese ed i professionisti del proprio Paese su come partecipare alle gare d’appalto internazionali dando notizie preziose sulle procedure.

In Italia, invece, non è ancora nata l’idea che il sostegno ai prodotti culturali del Paese non si effettua con le “raccomandazioni”, ma fornendo gli strumenti e le comunicazioni per eccellere, e quindi consentire di competere con prodotti di alto livello.

Siviglia, 10 luglio. El Arenal è il più antico locale dove si pratica il flamenco puro. Allocato in un edificio del XVII secolo con decori tipicamente andalusi, propone spettacoli classici con artisti di ottimo livello. Il flamenco, e l’Andalusia in generale, ha molti punti in comune con la cultura napoletana e del Mezzogiorno d’Italia: la cultura araba, la cultura della morte, le feste popolari, la severità. In questi giorni ho spesso avuto la sensazione che Siviglia fosse Napoli: lo stesso modo di concepire la vita, una maniera allegra, fantasiosa che, però, nasconde un segreto timore o sentimento della morte. Né il napoletano né il sivigliano sono ottimisti: un loro pessimismo di fondo trapela dalla gioia di vivere che si rivela nelle piccole cose del quotidiano e che si serve del contatto fiducioso con la vita. Il flamenco è tra queste, come per il napoletano lo è il cantare. Ciò si avverte a Napoli e a Siviglia, mentre a Cordoba o Granada vi è una cupezza più accentuata, rassimilabile alla Sicilia. Napoli e Siviglia sono quindi legati dal “duende”: quel vibrare estatico che “brucia il sangue come un tropico di vetri”, come lo definisce Garcìa Lorca, quell’anima del flamenco che si trova in Spagna ma che può benissimo appartenere all’Italia. Se il “duende” non è inteso solo come fatto drammatico ma anche come “anima”, come spirito, come liberazione di una partecipazione autentica di un sentimento, è consentito parlare di “duende” napoletano.

Il termine “duende”, oltre al significato di “fantasma” o “spirito, genio” è così definito:”Grazia o incanto ineffabile. In particolare, quello che si apprezza nel canto o nel ballo in coloro che lo eseguono”. Dice su questo Federico Garcìa Lorca:

“La virtù magica della composizione poetica consiste nell’essere sempre influenzata dal “duende” per battezzare con acqua oscura tutti coloro che la guardano, perché con il duende è più facile amare, comprendere, stimarsi, e si è sicuri di essere amati, compresi, e questa lotta per l’espressione e per la comunicazione dell’espressione acquista a volte in poesia caratteri mortali.

Nel flamenco classico, come nella corrida, nessuno si diverte: il duende si incarica di far soffrire, attraverso il dramma su forme vive, e prepara la scala per un’evasione dalla realtà circostante. Nel flamenco il duende opera sul corpo della ballerina come il vento sulla sabbia. Converte con magico potere una bella ragazza in paralitica della luna, o riempie di rossori adolescenti un vecchio malandato che chiede l’elemosina nei negozi di vino; sparge con una chioma odore di porto notturno e opera in ogni momento sulle braccia, con espressioni che sono madri della danza di tutti i tempi”.