Intervento di Michele Capasso alla presentazione del libro:

La ragione appassionata di Fernando Savater e Juan Arias

 

Napoli, Palazzo Serra di Cassano – 8 febbraio 1996

 

 

In qualità di presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, anche a nome di Predrag Matvejevic’, presidente del Comitato internazionale della Fondazione medesima – impegnato in questi giorni a Parigi per la presentazione del suo ultimo libro “Il Mondo ex” – voglio dare il benvenuto ed il saluto più affettuoso a Juan Arias, membro della nostra Fondazione ed a Fernando Savater, entrambi autori del bel libro che presentiamo questa sera. Un saluto affettuoso alla mia cara amica Hado Lyria, traduttrice preziosa di questo lavoro, ed a Carla e Marzia delle edizioni Frassinelli che hanno collaborato attivamente, consentendoci di essere qui questa sera. Un ringraziamento all’istituto Italiano per gli Studi filosofici, questa istituzione insieme italiana ed europea che unisce i più grandi pensatori odierni e che, con la sua collaborazione, continua ad assisterci nel nostro cammino mediterraneo.

Non voglio dilungarmi sulle biografie di Arias e Savater, perché credo siano note a tanti di noi. Mi limito ad accennare che Savater è uno dei più prestigiosi filosofi europei odierni ed autore di importanti libri tradotti in più lingue come “L’Etica per un figlio” e“L’Etica come amor proprio”; Arias è uno dei più prestigiosi giornalisti e pubblicisti spagnoli, molto conosciuto in Italia dove è vissuto e ha lavorato come giornalista.

Innanzitutto desidero entrare nel vivo de La ragione appassionata con qualche personale modesta riflessione.

La conversazione fra Savater e Arias è, senza ombra di dubbio, figlia di quelle conversazioni settecentesche, illuministe ed illuminate, delle quali gli autori lamentano la scomparsa; di un salotto arredato con raffinatezza e mai con sfarzo o con ostentazione, dove gli ospiti si trovano a proprio agio e si dispongono ad ascoltare le molte voci che risuonano nel testo: le voci di Savater ed Arias e tutte le altre che dal loro dialogo prendono nuova vita.

Si ha quasi l’impressione che siano riusciti a realizzare la magia di quel libro-sortilegio che Machiavelli apriva ogni sera, come ricorda Savater, per intrattenersi in amabile conversazione con i grandi del passato; o forse, per rimanere in tema di magia, quel libro “vivo” di cui ci parla Hoffmanstall: un organismo che entra in relazione quasi biologica con gli individui, stimolandoli all’interazione.

Questa revitalizzazione avviene, poi, in modo assolutamente coerente con quel principio che “bisogna cambiare le metafore antiquate”, perché il linguaggio è una sostanza viva, espressione immediata dell’essere spirituale dell’uomo, e troppe scorie, troppe croste di discorsi – quello che i francesi chiamano “la langue de bois” – si accumulano nel tempo ad inquinare il senso originario delle cose.

Ebbene, tutto questo non accade nel libro di Savater ed Arias per quanto le opportunità non manchino – vista la quantità di autorevoli riferimenti sparsi a profusione del dialogo – perché la leggerezza e la duttilità dello strumento di cui si servono non ammette cadute nei luoghi comuni e sfugge alle trappole dell’ovvietà e della reticenza falsamente rispettosa.

Come presidente di una Fondazione che si occupa dei problemi del Mediterraneo, e che si propone di svolgere funzioni di centro di raccolta e di smistamento delle questioni relative ai conflitti ed alla pacifica convivenza dei popoli che su questo Nostro Mare si affacciano, sono stato particolarmente colpito da una frase detta da Savater a proposito della sua idea di didattica.

A pagina 160 leggiamo: “Credo di aver spinto gli allievi a leggere tantissimo, perché ritengo che la mia funzione non consiste nel fargli scoprire il Mediterraneo, che è stato già scoperto, ma gli autori, e spronarli a leggere”.

In tal senso, vorrei ricordare che la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ha voluto dare uno spazio notevole agli autori, scrittori e poeti del Mediterraneo, che costituiscono la struttura portante dell’obiettivo culturale che la Fondazione si prefigge.

Del resto, la dimostrazione dell’interesse che anima i nostri fini sta nella presenza di prestigiosi esponenti della cultura mediterranea nel Comitato Internazionale della nostra Fondazione. Mi riferisco, in primo luogo a Pedrag Matvejevic’ che ne è il presidente, a Juan Arias e Vincenzo Consolo, a Manuel Vázquez Montalbán – con il quale poche settimane fa, in questa sala, presentammo il suo ultimo libro – e, inoltre, tra i tanti, a Juan Goytisolo, Claudio Magris, Tahar Ben Jelloun, Ismail Kadaré, Edward Al Karrat, Raffaele La Capria, Gerardo Marotta, Vassili Vassilikòs.

Sulla stessa scia vorrei segnalare l’importanza che ha avuto nella crescita della Fondazione Laboratorio Mediterraneo la Rivista “Euros” ed il suo editore Vittorio Nisticò che è qui con noi questa sera. “Euros” è stata la prima rivista che ha affrontato, anticipandoli, i temi della solidarietà e della tolleranza fra i Popoli mediterranei. Non a caso i primi collaboratori di “Euros” si chiamavano proprio Juan Arias, Fernando Savater, Pedrag Matvejevic’, Vincenzo Consolo, Manuel Vázquez Montalbán, Claudio Magris, Igor Man e tanti altri: per questi motivi la Fondazione pensa di rilanciare “Euros” quale strumento giornalistico che opera intorno ai problemi dei paesi mediterranei.

In sintonia con quanto fin qui espresso, vorrei altresì comunicare che il 16 e il 17 di questo mese organizziamo, in collaborazione con il Consiglio Regionale della Liguria, un incontro con la letteratura magrebina dal titolo “Voci dal Mediterraneo”. In questa occasione ci proponiamo di evidenziare la funzione del poeta e del letterato nei confronti della propria società e i problemi che egli deve affrontare come rappresentante e come voce critica di una comunità.

Ritornando alla citata frase di Savater mi sento di condividerne pienamente il senso e le ragioni profonde: innanzitutto nella prospettiva di esplorazione, di continua scoperta che caratterizza il mio approccio alla conoscenza – conoscenza di pensatori del passato ed intellettuali del presente – poi mi sono sentito chiamare in causa come autore di un libro sul Mediterraneo e come editore che deve necessariamente operare una selezione del materiale che gli si offre e cerca di attenersi il più possibili a criteri di valutazione che vedono coniugati insieme il rispetto della tradizione e l’inventiva innovatrice.

Ma soprattutto vorrei dire che quella frase mi ha evocato tutta una serie di suggestioni che sono parte della nostra memoria culturale – a dimostrazione, ancora una volta, della vitalità di questo organismo vivente che è La ragione appassionata.

Robinson Crusoe che parte per vedere il mondo, spinto da una voglia incontenibile, da quella stessa irrequietezza che muove Ulisse sulle tracce delle colonne di Ercole, tutti i pionieri che, per esplorare Mondi Nuovi, si lanciano nel mare proprio come se il mare costituisse una sorta di ricettacolo dei possibili, un luogo dove tutto può accadere ed accadrà, appunto, quando una sola possibilità – isola, oppure lembo di terraferma – comparirà all’orizzonte: questo è lo spirito nel quale mi sono sentito affine a Savater, come esploratore della realtà e, in questo momento, del suo libro.

La conoscenza come avventura etica sospinta da una ragione appassionata, dove mi sento di condividere questa definizione di etica come “memoria del permanente sotto le diversità”, principio nel quale ho sentito tradotta quella coniugazione di “rispetto della tradizione ed inventiva innovatrice” della quale ho parlato poco fa.

Ed è veramente interessante osservare il funzionamento della ragione appassionata di Savater, a partire dal suo libro. Perché la sua cultura funziona come “memoria del permanente sotto le diversità”. Essa è un punto d’incontro di molte culture e in ciò si rispecchia il suo rifiuto del nazionalismo e del particolarismo che è accettazione e metabolizzazione profonda della multietnia.

In questo senso si può dire che la sua memoria culturale è – per ricordare Italo Calvino (come del resto fa Savater in un paio di occasioni) – una sorta di città, una città sul tipo di quelle descritte nella sezione del dialogo intitolata: “La città è uno spazio fatto di simboli”. Una città governata da una “contaminazione culturale” e nella quale uomini e simboli del passato sono visitati da quel viandante “anonimo” della città di Savater che somiglia tanto al narratore dell’anonima tradizione di cui parla W. Benjamin: un “giusto che, seduto davanti ad un bicchiere, rende l’esperienza di nuovo “comunicabile”.

Savater tenta di persuaderci del suo desiderio di rimanersene in pace a sorseggiare il suo drink; ci annuncia che lui è un “viandante” solitario e che non elargirà il famoso “consiglio” benjaminiano all’avventore che si sieda accanto a lui a domandargli di etica e di filosofia. Risulta estremamente difficile credere alla verità di queste asserzioni, considerato l’impegno che egli profonde ogni giorno per prestare “consiglio” ai suoi studenti e viste le difficoltà che ha dovuto superare per tramandare “l’esperienza” ad un figlio, per raccontarsi – cioè raccontare sé e la propria idea sull’etica – come ha fatto ne “L’Etica per un figlio”.

Certo, si potrebbe pensare che – per continuare ad usare l’immagine del viaggiatore che ci ha accompagnato fin qui – costui sia, semplicemente, un po’ egoista; che, insomma, abbia assimilato profondamente quel principio del quale ci parla Savater ne “L’Etica con amor proprio”: l’amore di sé che spinge ogni individuo all’autoconservazione ed alla soddisfazione dei propri bisogni. Salvo poi a scoprire (p.20) che “l’egoismo di un essere sociale non può che essere sociale, così come l’egoismo di un essere corporeo non può che essere corporeo.

A partire da questa asserzione mi pare che si possano capire più a fondo le idee di Savater sulla solidarietà, idee che ho sentito il bisogno di approfondire per il ruolo che mi compete e che ho scelto di rivestire nella società. La sua resistenza apparente nei confronti di una prassi solidale nasce dalla concezione errata di essa e, soprattutto, dal controsenso in cui affonda le sue radici questa idea.

Perché, originariamente, la solidarietà presuppone un’opposizione, “l’unione di un gruppo contro un altro gruppo” e non, come avviene ora, “l’unione di un gruppo contro un male comune”.

Allora, se l’autore me lo consente, proporrei un’abolizione definitiva di quel contro che equivale ad un’accettazione della ragion pratica dell’uomo e del suo egoismo sociale.

A proposito di “egoismo”, in sintonia con l’impegno e la sollecitudine con cui la Fondazione ha stretto i suoi rapporti con tanti intellettuali dei paesi mediterranei, tutti noi che ne facciamo parte saremmo felici di annoverare, a partire da questa sera, il nome di Fernando Savater tra i membri del Comitato Internazionale, per aumentare quel contributo culturale e filosofico senza il quale non è possibile progettare né, tanto meno, costruire un futuro di pace: che speriamo essere il futuro del Mediterraneo.

 

Michele Capasso

(Presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo)