“IL MATTINO”

6 febbraio 1996

 

Io e Sciascia, cavalieri dell’utopia

 

di Generoso Picone

 

Dice Fernando Savater, citando Ortega y Gasset: “Il filosofo incomincia a essere tale quando riesce a rendersi conto del reale nel suo insieme; ma non lo è completamente fino a quando non ne rende conto  agli uomini disposti ad ascoltarlo e a dialogare con lui, senza artifici né etichette”. Stando così le cose, Fernando Savater il suo status di filosofo se lo è bello e conquistato, in lunghi anni di onorata carriera e in una densissima sequenza di libri – saggi ma anche romanzi, opere teatrali, raccolte di interventi giornalistici pure quelli frequentatissimi – che ne ha fatto prim’ ancora che un pensatore di culto certamente un caso editoriale. Da quando, infatti, il suo Etica per un figlio (Laterza) riuscì a farsi tanto apprezzare dal pubblico italiano da arrivare alle vette della classifica dei titoli più venduti, Fernando Savater ha continuato con precisione e puntualità a proporre le sue riflessioni, le sue “diatribe” come le chiama lui: “Non mi riferisco al senso attuale della parola, ma serve a dare un nome a opuscoli che accusano e denigrano (sebbene neppure io ne sia,ahimé, del tutto estraneo), ma a quello che il termine aveva per i filosofi del terzo secolo avanti Cristo, quando designavano le opere accessibili a un vasto pubblico,colto ma non obbligatoriamente specializzato, che vertevano su temi mondani, vale a dire non tanto su ciò che è il mondo, ma su come arrangiarsi in esso e con esso: questioni semplici (quantunque non facili) sul piacere e sul dolore, le forme della bellezza, le tecniche di convivenza e la risposta ai miraggi dell’inquietudine e della tirrania”.

Fernando Savater, insomma, è uno a cui sembra “indegno e stupido (o tutt’e due) non affrontare la filosofia con quella temperie spirituale con cui si esercita uno sport o ci si occupa di un gioco”, spiega lui ancora  con Ortega y Gasset. E affrontando tutto con tale temperie spirituale, l’accreditato professore quarantottenne di Etica all’Università “Complutense” di Madrid, basco ma a suo tempo minacciato di morte dall’Eta, amante di Voltaire almeno quanto dei cavalli, ha tonificato ogni suo intervento di quel tono ludico che deve essere il prodotto della congiunzione tra i termini platonici di paideia (educazione) e paidia (scherzo, giovialità): “Su questo indugiare nel gioco equivoco – aggiunge Savater – ma significativo tra paideia e paidia (l’una sconfina sempre nell’altra o vi aspira), si fonda la differenza tra la persona colta e il mid-cult, il semi-colto: quest’ultimo è il più enfatico, il più sdegnoso di ciò che è popolare (“Ogni romanzo è migliore del film che se ne trae!”, “Non guardo mai la televisione, quella stupida scatola!”) e crede che alzare gli occhi al cielo significhi guardar sempre nel punto giusto”. Si capisce chi scelga Savater tra i due, e a chi affidi il proprio profilo, anche se mischiando Ciaron con Tin Tin, Spinosa con Marx nel senso dei fratelli, è consapevole di correre il rischio di un calo di rispettabilità: terribile per un filosofo tradizionale, insignificante per Fernando Savater.

Ora, Savater è in Italia, per accompagnare l’uscita contemporanea di due libri (La ragione appassionata per Frassinelli, realizzato con Juan Arias, e il Dizionario filosofico per Laterza) che per coincidenza editoriale o gioco del caso vanno a comporre una sua attendibile autobiografia culturale. Dove compare, grazie alla collaborazione di Arias, il riferimento intellettuale che Savater si è dato, e cioè quello di Leonardo Sciascia: “Sono due le persone che hanno preso l’iniziativa di interpellarmi direttamente, ancor prima che io le avessi in qualche modo contattate, per dirmi che mi leggevano con interesse. Una è Octavio Paz, dal quale ricevetti una lettera quando avevo vent’anni, dome mi diceva che gli piacevano le mie cose? A quei tempi, Paz per me era una specie di Dio. La seconda fu Sciascia, a cui era piaciuto il mio tentativo di fare un’etica in contatto con la realtà che esigesse tuttavia una certa ambizione di principi. Di Sciascia mi piacevano tutti gli ingredienti della sua personalità, nella quale mi sembrava in parte di rispecchiarmi perché Sciascia era un pensatore, un narratore e un umorista”.

Alla maniera di Leonardo Sciascia, Fernando Savater ha sostenuto in Spagna battaglie difficili e scomode, conquistandosi le ire dei terroristi baschi e polemiche sparse. “E’ un uomo di buon senso a cui piace smontare i miti”, rivela Juan Arias: “Per esempio, ha rovesciato la categoria dell’ambientalismo come non violento: ma è la natura violenta in se stessa. Ancora: le città sono invivibili? Ma solo nella grande città si può comunicare e stabilire relazioni. E la televisione: è una scatola vuota, dipende da come la si riempie, comunque non si può condannare e basta. I giovani: non detto che siano sempre buoni e generosi, anzi. E i figli in provetta : delittuoso programmare orfani, ha detto Savater, aggiungendo poi che un bambino abbandonato può essere ben affidato anche a una coppia di omosessuali”.

Ma oggi la preoccupazione maggiore di Fernando Savater è quello che riguarda le inquietitudini del nuovo millennio, l’insorgere grave dei nazionalismi, la violenza che domina le ore dei giorni, il disagio di vivere che i genitori trasmettono ai figli. E sono questioni che rendono ancor di più indispensabile la presenza di filosofi come lui.