ALBERT MEMMI
L'intellettuale e il politico (sintesi)
Recentemente i premi Nobel sono stati ricevuti all'Eliseo, il
palazzo del presidente della Repubblica francese. Sfilavano come un corteo al
seguito del capo dello stato, malgrado il suo riguardo maldestro e rispettoso.
Non a caso i giornalisti si sono lasciati sfuggire espressioni come
"principi dello spirito". Non è che una metafora: un principe è solo
colui che detiene il potere politico.
Nella "Repubblica" ideale di Platone, i filosofi
dovevano essere re e i re filosofi: questa coincidenza tra il potere spirituale
e quello temporale corrisponde al desiderio ingenuo degli intellettuali:
raramente è stato esaudito e, quasi sempre, in modo catastrofico.
Dione di Siracusa, consigliato da Platone, morì assassinato;
Tommaso Moro, consigliere di Enrico VIII d'Inghilterra, fu decapitato;
Aristotele, educatore di Alessandro Magno, fu condannato a morte dai politici
alla maniera di Socrate. Gli scrittori sono la categoria professionale che
sforna più detenuti in tutto il mondo. Questo risulta anche da una pratica che
mi è stata affidata dal Pen Club verso gli anni Settanta, intitolata "Les
ecrivains en prison" (Gli scrittori in prigione), secondo la quale
all'epoca vi erano 1471 scrittori in prigione.
L'intellettuale e il politico non hanno né lo stesso progetto, né
gli stessi mezzi. Fosse anche re, il politico avrebbe sempre qualcosa del
venditore ambulante: deve sedurre per persuadere e dominare più facilmente, da
cui la finzione ricercata del gesto e della retorica. II suo discorso non è che
un'arma al servizio dell'azione: il famoso politichese degli uomini politici
non è un'eccezione irritante, bensì la norma. L'intellettuale, invece vuole
convincere anche a rischio di non piacere. Il suo discorso è uno strumento
prezioso e delicato da trattare con amore, poiché qualora dovesse transigere
con la verità cesserebbe immediatamente di essere un intellettuale.
Con ciò non si vuole riservare il ruolo del "buono"
all'intellettuale e quello del "cattivo" al politico. Al servizio
della sua gente il politico si considera impegnato in una guerra. Ora: un capo
militare che dicesse tutto sarebbe considerato irresponsabile. Si chiederebbe a
un medico di avere una franchezza totale e costante? È improbabile che l'uomo della
strada la pensi diversamente. Un grande politico Francese, Pierre Mendès
France, pretendeva di non nascondere niente alla nazione: divenne un simbolo
rispettato, ma perse il potere in capo a sette mesi e non lo recuperò più.
Si dovrebbe coltivare un legittimo sospetto verso il politico:
ricordargli che il potere è una delega della popolazione a cui deve rendere
conto e che può talvolta tacere ma non mentire; che l'informazione, essenza
della democrazia, deve essere ampiamente condivisa. Ma senza prendere sul serio
la sua teatralità e le sue palinodie, è
meglio lasciarlo al suo lavoro.
Il modo, invece, in cui alcuni intellettuali ruotano attorno al
potere è ridicolo e contro natura: abbagliati, cercano in esso il laboratorio
dei loro sogni. Ma governare non è sperimentare. Le utopie, laiche o religiose,
sono sempre perniciose per la libertà e bisogna diffidare dagli utopisti al
potere.
L'intellettuale, per conservare la sua integrità, deve mantenere
una distanza di sicurezza dal politico. La sua frequentazione, infatti, non
porta a nulla: come Faustus o l'uomo dal cervello d'oro, non ha che l'anima da
vendere.
In conclusione, che ciascuno faccia il suo mestiere e le vacche
saranno custodite meglio: ne va dell'interesse e della pace di tutti.