MICHELE CAPASSO

 

Il Mediterraneo come progetto

 

A conclusione dei lavori, per i quali esprimo piena soddisfazione, tenterò di catturare la vostra residua attenzione.

Quando con l'amico fraterno Predrag Matvejević, circa due anni fa, abbiamo deciso di dar vita alla Fondazione Laboratorio Mediterraneo - che Tahar Ben Jelloun, scherzosamente, ha ieri definito un'impresa tra follia e coraggio, considerandomi uno dei «folli» del Mediterraneo - pensavamo alla necessità di un'incontro come questo: con le voci «del» e «dal» Mediterraneo. Tranquillizzo Tahar e tutti voi, non ho dimenticato né abbandonato il vecchio mestiere di architetto e ingegnere: l'ho soltanto trasformato in metodo, adattandolo alle complesse attività della Fondazione. A tale proposito credo utile esporre, brevemente, le motivazioni di questa mia scelta.

Ad un certo punto della vita ho deciso che non aveva senso limitarsi a progettare e costruire solo «cose oggettuali»: bisognava andare oltre. Molti anni fa lessi una frase che diceva: «II Mediterraneo non è un progetto, ma soltanto un insieme di cose dissennate, frantumate, sparse lì per caso». Pensai, allora, che il dovere di un «architetto» fosse anche quello di contribuire a «progettare» e «costruire» il Mediterraneo, valorizzandone le diversità e le differenze.

Questa apparente utopia mi ha spinto in un'impresa che si sta caratterizzando per la sua concretezza; grazie ad una non comune tenacia, a notevoli sforzi economici e ad un totale impegno professionale: è stato, per me, un cambiamento di vita non facile, anche se attuato in piena coscienza.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo ha costruito una «rete» con le principali regioni e città del Mediterraneo: tra queste Genova. Alcuni genovesi, sensibili ai nostri programmi di ricerca, hanno voluto collegare la nostra Fondazione con Genova e la Liguria, dando vita ad iniziative come questa, di estremo interesse e significato. Ringrazio tutti voi ed in modo particolare i presidenti Cerofolini e Mori ed il sindaco Sansa per averci dato la possibilità di collaborare a questo convegno ed alle molteplici iniziative comuni in programma.

Alcuni giorni fa, alla Camera dei Deputati, ho sottolineato I'importanza di istituire un «Parlamento degli scrittori, degli intellettuali e degli artisti del Mediterraneo». Questa idea, che ho trasmesso a Matvejević ed all'intero Comitato Scientifico della Fondazione, è più che mai attuale. Nel Mediterraneo oggi è necessario non dimenticare, non voltare pagina: quanto meno, prima di voltarla, è indispensabile leggerla e memorizzarla. II molo degli scrittori, dei poeti e di tutte le «voci» del nostro mare è indispensabile per attuare questo processo.

Con umiltà, rivolgo a tutti i partecipanti a questo convegno l'invito a non archiviare questi due giorni, a far lievitare i contenuti preziosi che voi tutti ci avete offerto.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo - che ha partecipato a questo convegno con alcuni membri del proprio Comitato Scientifico - ritiene possibile, ed in tal senso rivolgo cortese invito ai politici presenti, che Genova e la Liguria possano diventare la sede permanente, un punto di incontro e di dialogo tra scrittori, artisti, poeti: le vere «voci» delle città mediterranee.

Prima si faceva accenno alle città mediterranee. Spesso le paragono a «mille uomini e donne» di antica e diversa bellezza, segnati da numerose rughe che li consegnano ad un presente privo d'identità. Durante i passati decenni, con modalità ed intensità molto diversificate, queste rughe ne hanno spesso modificato il volto: l'incremento demografico, la debolezza delle istituzioni locali, la mancanza di progettualità e l'aggressività degli speculatori hanno impedito che la crescita delle città fosse regolata da idee e, tanto meno, da leggi. Oggi il Mediterraneo sembra ritornare al tempo in cui gli Stati non esistevano, quando le «civitas» rappresentavano intere regioni ed il loro ruolo era essenziale e prioritario. Stiamo assistendo al risveglio di una volontà nuova da parte delle principali città mediterranee: molte finalmente «si parlano», cercano insieme di affrontare problemi comuni trovando soluzioni adeguate, ascoltando le proprie «voci». Come gli uomini e le donne queste città nascono, crescono, si ammalano e possono morire. Gran parte di esse sono gravemente ammalate. La cura è nelle mani di chi le governa ma, soprattutto, nelle nostre. Recuperare e razionalizzare l'esistente, effettuare scelte qualitative e non quantitative, dare respiro e rigore all'azione amministrativa iniettando efficienza, competenza e professionalità, dare spazio alle «voci» della cultura: sono queste le medicine che potranno assicurare la vita futura delle città, base indispensabile per progettare e costruire il «nostro» Mediterraneo.

Vorrei concludere con un appello e un omaggio. Abbiamo dato il mese scorso il Premio Internazionale Laboratorio Mediterraneo ad Abdulah Sidran, poeta bosniaco che ha vissuto l'agonia di Sarajevo. La Fondazione ha concentrato i suoi sforzi sulla grande tragedia che si sta perpetuando al di là del mare, nella ex-Jugoslavia. Abbiamo tentato di capire il perché di una guerra civile nel cuore dell'Europa ed è apparso chiaro, come diceva Andrè Gide, che è necessario ripetere lo stesso appello fin quando la gente non capisce, non comprende. Oggi pomeriggio, al Palazzo Ducale di Genova, presenteremo l'ultimo libro edito dalla Fondazione che è «Ex Jugoslavia: Diario di una guerra» scritto da Predrag Matvejević. II libro è la memoria storica di 4 anni di guerra: cerca di spiegare il perché di questa tragedia. È importante che idealmente Genova si colleghi con Sarajevo. Oggi e domani i presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia si incontrano a Roma. Noi abbiamo avuto contatti per cercare di dirimere questa guerra e ieri ho fatto pervenire, tramite il Ministero degli Esteri, una busta a questi tre Presidenti, con il nostro appello ed una poesia di un nostro amico che conclude il libro di Predrag: è di Josiph Brodskij, premio Nobel per la letteratura, e si intitola

 

«Tema dalla Bosnia»:

 

Mentre pensi a versarti uno scotch, schiacci una blatta,

o controlli l'orologio, mentre con la mano ti sistemi la cravatta,

c'è gente che muore.

 

In queste città dai nomi strani, sotto i colpi di fucile,

in mezzo alle fiamme, senza nemmeno sapere perché,

c'è gente che muore.

 

In posti piccoli che non conosci, ma grandi abbastanza

per reclamare il diritto ad un grido o a un addio,

c'è gente che muore.

 

C'è gente che muore

mentre tu eleggi i nuovi apostoli dell'indifferenza,

del non intervento e di tutto ciò che fa morire la gente.

 

Sei troppo lontano per amare il prossimo tuo nel fratello Slavo,

dove i tuoi angeli hanno paura di volare,

c'è gente che muore.

 

Mentre i mezzi busti non trovano accordo, versione di Caino,

la macchina della storia fa dei cadaveri il suo carburante.

 

Mentre guardi un atleta segnare, controlli l'ultimo estratto conto,

o canti la ninna nanna al tuo bambino,

c'è gente che muore.

 

II Tempo, che con la punta tagliente del suo pennino

assetato di sangue separa le vittime dagli assassini,

scriverà tra questi il nome di quelli come te.

 

 

Questa poesia è un omaggio alla sua memoria perché Josiph è scomparso qualche settimana fa: un messaggio di disperazione e speranza per tutti noi.