TONI MARAINI
È con una certa emozione che mi trovo qui, oggi, ad aprire il
dibattito con gli scrittori del Maghreb, alcuni dei quali sono miei amici di
vecchia data e ai quali sono legata, appunto, da amicizia, progetti comuni e
ricordi che datano sin dal lontano 1965. Ma è anche con una certa vigilanza che
ho accettato di parlare. In un'Italia che per troppo tempo ha voltato le spalle
al Mediterraneo, in un'Italia dagli ambienti letterari assorbiti in ben altre
faccende, in un'Italia che si trova oggi impreparata ad affrontare
adeguatamente i problemi causati dalla dissimetria Nord-Sud, dalla grande
frattura emotiva provocata dalla guerra del Golfo, in un' Italia, insomma, in
cui poi le cose finiscono per essere fatte in fretta, c'è sempre il rischio di abusare
dei discorsi e, appunto, di voler recuperare frettolosamente le lacune del
passato. Tuttavia, malgrado questi rischi, è con caparbia fiducia che io prendo
brevemente la parola per presentare gli amici scrittori del Maghreb; con la
fiducia e la speranza che ad ogni incontro si possa andare un po' più avanti
nel chiarificare le cose, approfondendo l'ascolto di quelle che qui sono
chiamate «le voci del Mediterraneo». II problema non è tanto l'esistenza di
queste voci. Esse sono là, da molto tempo; io stessa, per mia propria
esperienza, sono stata coinvolta da queste voci più di vent'anni fa. Abbiamo
oggi qui presenti scrittori come Driss Chraibi, uno degli iniziatori della
letteratura moderna in Marocco, come Albert Memmi, figura storica della letteratura
della Tunisia, come Abdellatif Laahi, iniziatore, promotore ed appassionato
poeta del Marocco, tutte persone che hanno segnato una pagina di storia. Sono
presenti anche altri importanti itinerari di scrittura, di pensiero e di vita,
Abdelwahab Meddeh (Tunisia), Assia Djebar e Habib Tengour (Algeria), Abdelhaq
Serhane, Mohammed Choukri (Marocco) e Tahar Ben Jelloun, che conoscete molto
bene. Non è una lista che sto compilando. Quello che voglio ricordarvi è che vi
è una storia letteraria le cui voci esistono da tempo. La domanda da porsi
dunque è piuttosto quella sulla carenza dell'ascolto da questa parte della riva
del Mediterraneo. Chiedersi, insomma, perché vi siano stati tanti anni,
addirittura trenta o quaranta, di ritardo e di disinteresse da parte degli
editori e dei letterati italiani? Nel 1973, tornando brevemente in Italia dal
Marocco, e cosciente dell'importanza del lavoro dei miei poeti, fu con grande
difficoltà che riuscii a far pubblicare su «Nuovi Argomenti» tre poeti del
Marocco, M. Nissaboury, A. Mansouri e T. Ben Jelloun (allora autore
sconosciuto). Pubblicare questi poeti sembrava una cosa estremamente
stravagante, eccentrica. Fu un caso isolato. Tra il 1950 ed il 1986 l'editoria
italiana ha infatti pubblicato soltanto una decina di opere di narrativa del
Maghreb (e quasi niente in poesia); cioè, praticamente, nulla. Soltanto dopo il
boom editoriale del Premio Goncourt attribuito a Tahar Ben Jelloun è nato un
certo interesse e si è cominciato a pubblicare letteratura del Maghreb in
Italia - anche se in modo disordinato e, comunque, insufficiente. L'editoria è
quello che è, punta sui nomi sicuri (ma 'sicuri' per chi?), segue criteri
commerciali di politica editoriale non sempre rigorosi; ed è spesso grazie allo
sforzo di alcuni medi e piccoli editori (che non possono sempre avvalersi di
grandi strutture di distribuzione) che alcuni importanti autori del Maghreb
ignoti in Italia sono stati pubblicati. Penso ad Ahdellatif Laâbi che ha potuto
pubblicare in Italia grazie all'editore Selene di Milano, o a Mammari, uno dei
più grandi scrittori d'Algeria, di cui le Edizioni Ibis di Pavia hanno
pubblicato una raccolta di racconti due anni fa. Vi ricordo a questo proposito
che un grande scrittore come Mohammed Dib (Algeria) non è mai stato pubblicato in
Italia. Vi sono dunque una lacuna culturale ed un ritardo storico-editoriale
che non possiamo più ignorare. È urgente porvi rimedio. Vorrei darvi un piccolo
esempio per illustrare ciò che è stato detto prima, e cioè che è estremamente
importante far circolare la parola letteraria o poetica che viene dall'altra
parte del Mediterraneo, come messaggio di grande intensità. Nel 1988 avevo
organizzato a Roma una serata di lettura di poesie del Marocco. II giorno dopo
un giornalista scriveva su «II Manifesto»: «Ieri sera ci sono stati fatti
conoscere i grandi nomi della poesia marocchina, Tahar Ben Jelloun, Mohammed
Khaireddine, Abdelkhebir Khatibi, Adbellatif Laâbi, Mustala Nissaboury...; una
lirica che è esaltazione di un sentimento di riscatto della propria forza
interiore, un connubio inusuale per il Marocco, un paese a cui noi italiani
siamo abituati ad affiancare parole come vagabondaggio, stazione, miseria,
delinquenza». Non credevo ai miei occhi! non pensavo si potesse avere una
visione così caricaturale e schematica del Marocco, ignorare che fosse anche un
paese di poeti e narratori. Tuttavia, la mia fede assoluta nella poesia veniva
ricompensata: in verità, la poesia aveva illuminato il giornalista italiano e,
attraverso lui, aveva fatto capire qualcosa anche ai lettori. Questa funzione
educativa e culturale della letteratura è fondamentale e deve essere portata
avanti non con la logica della grande editoria, ma con la logica della cultura.
Non ho tempo per entrare qui nei dettagli di una letteratura
molteplice e complessa, quella del Maghreb, nata dal fermento dei movimenti
modernisti che scossero il mondo arabo agli inizi del XX secolo. Una produzione
letteraria moderna maghrebina - con numerosi autori e autrici che hanno scritto
in arabo ed in francese - eppure radicata in una storia culturale estremamente
ricca, una cultura africana da secoli alimentata da molteplici apporti:
tradizioni berbero-sahariana, arabo-andalusa, ebraica, orientale e
mediterranea. Non accennerò qui neanche alla questione delle molteplici
variazioni (tendenze, correnti) tematiche e stilistiche; meglio ascoltare gli
autori stessi. Vorrei però ricordare una frase di Chateaubriand: «I cambiamenti
in letteratura di cui si vanta l'Ottocento europeo, sono arrivati
dall'emigrazione e dall'esilio». Vi è dunque certamente nell'ascolto delle voci
del Maghreb un potenziale di arricchimento per la cultura italiana, cultura
notoriamente chiusa e provinciale che ha storicamente voltato le spalle al Sud
del Mediterraneo. L'incontro con una letteratura complessa, che porta in sé i
germi della inquietudine, dell'esilio, della migrazione è uno stimolo
all'apertura ed alla crescita. Bisogna sostenere la libera circolazione delle
sue opere ed idee; E la traduzione e la pubblicazione di testi, saggi, poesie,
romanzi, racconti è uno dei principali veicoli di questo scambio e della
trasmissione delle idee. In un mondo che si ripiega sempre più dentro le
frontiere bisogna sostenere, anche, la libera circolazione dei corpi e delle
persone, sapere aiutare meglio gli intellettuali dell'altra riva, capirne
visioni, immaginazione, esistenza; sostenere cultura e società sostenendone la
vita intellettuale, la società civile, le forze democratiche, la ricerca e la
creazione. Se pensiamo al Mediterraneo come ad una grossa emittente e se
vogliamo veramente ascoltare, dobbiamo andare al di là dei discorsi di
circostanza e di quella visione esotica, retorica e direi, coloniale del
Mediterraneo di cui si compiacciono ancora tanti italiani, e perfino gli
scrittori italiani. Se prestiamo ascolto, infatti, al Mediterraneo, sentiremo i
clamori della prevaricazione, della violenza e della guerra. Dello shock
Nord/Sud, Oriente/Occidente. Come ignorare che questo nostro secolo culmina con
la barbarie di Sebreniza? Possiamo continuare a chiudere frontiere fisiche e
mentali, pur sapendo che il Mediterraneo, se si farà, dovrà farsi tutti
assieme? Ecco perché incontri come questo di oggi possono essere importanti a
condizione di essere sostenuti da un grande sforzo di conoscenza e di riflessione.
Sperando, dunque, che nel corso dei lavori e del dibattito si riesca a
procedere su questo cammino, passo la parola agli amici scrittori del Maghreb,
cominciando da Driss Chraibi.
Nuto a Fez nel 1926, Chraibi è una figura storica e letteraria importante.
Ed è un evento storico, in effetti, che si trovino qui oggi in questa sala sia
'Abdellatif Laâbi che Driss Chraibi. Chraibi aveva pubblicato nel 1954 Le
passé simple, un libro che causò grande scandalo in Marocco e che segnò nel
Maghreb una rottura pubblica del ruolo dello scrittore moderno con l'or dine
patriarcale e con il silenzio dei letterati tradizionali sulla decadenza della
propria società. II grande coraggio di Chraibi gli valse anatemi e censure. Ma
servì anche d'esempio a tutta una giovane generazione di scrittori del Maghreb.
Nel 1966, nel numero 5 della rivista «Souffles», edita a Rabat, 'Abdellatif
Laâbi - che la dirigeva - scriveva: «Chraibi non è stato soltanto il
perturbatore delle pietrificazioni, ma nello stesso tempo, e con la sola
pubblicazione di questo libro, ha dotato la letteratura marocchina della sua
prima opera moderna». Come dire dunque che dopo più di trent'anni -quando Unta
acqua è passata sotto i ponti - due generazioni di scrittori del Maghreb, che
hanno scritto ed operato per trasformare la propria società e cultura, e per
accedere ad una più ampia visione universale, testimoniano qui il cammino
percorso. Come testimoniano con vigore la figura storica di Albert Memmi,
tunisino, e gli altri scrittori più giovani qui presenti. I primi due romanzi
di Albert Memmi, pubblicati nel 1953 c 1957, furono esempi di pionieri per la
letteratura del Nordafrica, esempi, come scrisse Laâbi nel 1966, «di una
strategia sincera della denuncia delle radici e delle conseguenze della politica
culturale coloniale».
II pubblico italiano - e gli scrittori italiani presenti -
sapranno capirne il valore simbolico, il percorso storico, la complessità?
L'ascolto si farà più attento e, soprattutto, documentato? Insomma, le voci
della sponda Sud del Mediterraneo saranno infine recepite con la necessaria
consapevolezza e coscienza?