“IL DENARO”

 

18 ottobre 1999

 

L’Est è il futuro della Puglia

 

di Michele Capasso

 

Otranto,18 ottobre 1999. Questo passaggio a Sud – Est avviene alla fine di una settimana densa di appuntamenti: Napoli, Marrakech, Milano, Marsiglia, Bruxelles e, infine, il Salento. Avevo visto questo estremo lembo d’Italia alcuni giorni fa dall’aereo, di ritorno da Skopje: un arcipelago di paesi a poca distanza fra loro che all’imbrunire ricorda il fantastico scenario di una galassia stellare. Il mare del Salento regala gioie e visioni, intrecci di festosi colori, antiche storie e leggende.

Bisogna percorrerlo lentamente, con il ritmo antico delle barche a remi, o con quello ventoso delle vele, per apprezzarlo.

Dall’Adriatico, la tramontana ed il grecale, parente stretto del “meltemi” macedone, portano l’aria orientale e balcanica; dallo Ionio, lo scirocco, l’antico vento iapigio, parla del passato. Lo zefiro in Puglia si chiama iapigio, diceva Apuleio. I Greci prima, i Romani poi, cedettero che questo vento nascesse qui, dal promontorio iapigio che da “ta Leuka” – che in greco significa “bianca”, colore che anticamente indicava l’Ovest – porta ad Otranto e Gallipoli.

Penisola nella penisola, la regione salentina confina solo con il Mediterraneo. Le sue città costituiscono una trama in cui monumenti, storia e leggende narrano di una terra dai forti contrasti. Così Lecce, città del barocco, ma non di quello austero e retorico, bensì un particolare barocchetto, festoso, esplosivo, che si disperde in mille rivoli espressivi. Questo avviene con la basilica di Santa Croce, dove la facciata, divisa in due piani, sembra quasi voler cadere addosso allo spettatore in un tripudio di fiori e piante, puttini ed animali fantastici, santi ed angeli. Oppure in piazza Duomo, con la sua chiesa dal doppio prospetto ed il seminario che rincorre la fuga, inaspettata ed irraggiungibile, del campanile alto più di settanta metri. A fatica saliamo fin sopra: da qui si vedono entrambi i mari del Salento, l’Adriatico e lo Ionio.

Al tramonto siamo ad Otranto, il più ad Oriente d’Italia e da millenni città-porto. Il mare qui sovrasta: elemento imprescindibile che nemmeno secoli di agricoltura sono riusciti a far dimenticare. Anche lo sguardo del visitatore più distratto sente subito la forza che ad Otranto producono la sedimentazione e l’intreccio delle innumerevoli “tracce di passaggio” di popoli e idee, tra Oriente e Occidente: un naturale ponte sul Mediterraneo.

Percorrendo il centro storico della città dove strade e vicoli si inseguono dando luogo ad innumerevoli dialetti architettonici incontriamo “La Signora di Otranto”: è la Cattedrale dell’XI secolo che, grazie al rigore formale tipico del romanico gotico pugliese, riesce a dare forma spaziale all’elemento più incorporeo che esista: la luce. L’interno riserva una forza superiore alle nostre stesse aspettative: un pavimento musivo che racchiude sia la la sacralità cristiana che il concetto stesso del sacro. Le maestranze chiamate da Guglielmo il Malo, prete Pantaleone, avranno avuto sicuramente l’incarico di comporre una “biblia pauperum”, ma non lo fecero: costruirono, invece, un insieme di simbologie e leggende attinenti al sacro, al cristianesimo universale, cosmico.

19 ottobre. Sull’altro lato la costa salentina nasconde Gallipoli. Città isola, o forse penisola. Il ponte che la collega alla terraferma è per alcuni costruito a posteriori, per altri un istmo tagliato per difesa. Qui rimangono le tracce dell’antica civiltà marinara che si affida agli ex voto: testimoni di una religiosità tutta votata al sincretismo, ai colori e al sentimento. Il tessuto cittadino di questi luoghi si riempie di dialetti architettonici, giochi al rimando tra ingenuità ed intuizione.

Le nasse, le reti, le barche, i volti stessi di questi uomini narrano una storia continua. Non importa sapere che il mare ed i templi, la religione ed il navigare, in questa terra siano legati in maniera imprescindibile: lo si avverte subito.

I panorami mostrano luoghi da sogno: la costa bassa di Gallipoli con il sole che saluta l’antica chiesetta di San Mauro; l’isola di Sant’Andrea, per gli studiosi una delle misteriosi Cheradi; le spiagge di Ugento che proseguono per chilometri. La Madonna dell’Alto guarda i naviganti che sfidano lo Ionio, così come tutte le chiese di Gallipoli Vecchia guardano al mare: punti di riferimento, fari più dei fari veri. Come il santuario di Leuca, estrema propaggine del Salento, dai Romani chiamata finibus terrae.

Ore 18. Lecce, Palazzo dei Celestini. Con Predrag Matvejevic’ ed il presidente della provincia Lorenzo Ria siamo i relatori in un incontro il cui titolo è “Il Mediterraneo e l’Europa, la cultura strumento di unificazione dei continenti”. Il giovane presidente, come si faceva un tempo nel foro romano, porta in pubblico gli impegni assunti con la nostra Fondazione per un grande, ambizioso progetto: istituire nel Salento – quale sede distaccata dell’Accademia del Mediterraneo – un Istituto che possa diventare un osservatorio privilegiato sulle migrazioni dell’intera area euromediterranea. “E’ questo il futuro della nostra terra. Il Salento – dice Ria – deve esaltare l’opportunità offerta dalla sua storia e dalla sua posizione geografica ed assolvere ad un ruolo morale conquistato sul campo. Vogliamo coinvolgere in questa azione partecipata tutti gli attori della nostra società civile”.

Nel dibattito un docente dice: “L’adesione all’Accademia è un fatto enorme: occorre però guardarsi dal considerare questa una scelta di ordinaria amministrazione. È un impegno alto da gestire con abilità e tenacia.

Se il Salento non vuole essere più l’estremo lembo dell’Europa e considerarsi, invece, cuore del Mediterraneo, la rottura culturale è enorme e mette in discussione secoli di storia”.

Una sfida che la gente del Salento – sindaci, amministratori, associazioni e cittadini – saprà raccogliere. Elio Paiano, studioso e presidente dell’Associazione “Limes”, salutandomi dice: “La sincerità resta scolpita nel cuore dei salentini. Le azioni proposte esaltano e gratificano le potenzialità esistenti e promuovono l’unione tra i paesi del Salento”.

Bruxelles, 16 ottobre 1999. aula del Parlamento. Un addetto lucida la scritta in fiammingo posta in alto al centro dell’emiciclo: “Eendracht maakt macht”. Chiedo al presidente del Senato Armand Deckter il significato. Risponde “L’Union fait la Force”. Penso a questa frase lasciando Lecce.