FONDAZIONE LABORATORIO MEDITERRANEO

 

COMUNICATO STAMPA

Napoli, 28 aprile 1999

 

 

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo è, sin dalla sua costituzione, impegnata in azioni di solidarietà a favore delle popolazioni dei Balcani.

Il Direttore scientifico della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, prof. Nullo Minissi, ha pubblicato il 27 aprile su MAKEDONIJA DENES, e su altri giornali dei paesi balcanici, un “Appello ai popoli del Sud-Est Europeo” perché da queste circostanze tragiche traggano occasione per sciogliersi definitivamente dai condizionamenti del passato, fondare una vera democrazia e prendere in mano il loro destino.

Il prof. Minissi ha ritenuto d’intervenire per il suo legame con l’Europa Orientale e in particolare con i Balcani. Egli è Doctor Honoris Causa dell’Università di Sofia (Bulgaria), dell’Università di Skopje (Macedonia), dell’Università della Slesia (Polonia) e membro dell’Accademia delle Scienze e Arti della Macedonia. Nel 1969 ha fatto parte, in rappresentanza dell’Italia, del comitato fondatore della Association Internazionale d’Etudes du Sud-Est Européen (UNESCO) che per quindici anni ha mantenuto il dialogo tra tutti i Paesi del Sud-Est europeo. All’Istituto Universitario Orientale di Napoli è stato fondatore e per molto tempo Direttore del Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale. Dal 1979 al 1982 è stato anche Rettore dell’Ateneo.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo fa proprio l’Appello del suo Direttore scientifico poiché “solo l’affermarsi d’una vera democrazia e l’abbandono dei nazionalismi può ridare pace e sviluppo a questa tormentata parte dell’Europa e porre le premesse per una sua rinascita”.

 

 

 

APPELLO AI POPOLI DEL SUD-EST EUROPEO

 

La Nato s’installa nella guerra. Una guerra che è europea ma è condotta sotto la direzione e secondo i criteri americani, una guerra che è moralmente legittima ma è priva d’un fondamento giuridico, che potrebbe venire soltanto dall’Onu. Una guerra soprattutto combattuta non in maniera da impedire le umiliazioni, le violazioni, i massacri programmati e preannunziati ma in maniera da rispondere alle esigenze della politica interna americana, che ha due fini.

Il primo è punitivo: punitivo del popolo serbo, non solo perché responsabile d’una politica nazionalista e di genocidio e disposto a tutte le infamie per realizzarla, ma perché colpevole di non obbedire alle ingiunzioni della grande potenza dominatrice del mondo.

Il secondo è cautelativo: mettere la Serbia in condizioni di non poter sostenere domani una vera guerra contro la Nato nel caso “dichiarato improbabile” che questa riceva l’ordine di iniziarla. C’è anche un sottinteso razzista: la vita d’un soldato occidentale vale di più di quelle di migliaia di persone non occidentali. Il principale compito della Nato infatti è non mettere a rischio i propri uomini, fare una guerra a “perdite zero”. Lo stesso compito – non va dimenticato – che portò le truppe dell’ONU a collaborare di fatto con gli assassini di Srebenica, tanto che il Tribunale Internazionale voleva processare il loro comandante ma ne è stato impedito dai governi europei.

 

Le conseguenze di questa strategia sono disastrose per la Nato.

 

Essa dimostra:

 

1.   Che i governi europei facenti parte della Nato non hanno alcun potere di decisione e dunque che l’Unione Europea non è e non può essere un riferimento nel mondo poiché manca d’una politica internazionale autonoma e unitaria, guidata da principi propri, definiti e sicuri.

2.   Che i nuovi membri della Nato – Polonia, Ungheria, Cechia - non hanno alcuna voce: essi sono entrati in un’organizzazione difensiva e si sono trovati subito a fare parte d’un’offensiva senza essere consultati.

3.   Che gli USA, massima potenza occidentale, possono agire nel mondo senza sottomettersi all’ONU e anche senza coinvolgerla nelle proprie scelte.

4.   Che gli USA sono una grande nazione che ha una potenza mondiale, ma manca d’un governo capace di rispondere ad una missione mondiale e di ogni forma di rispetto e compassione verso i popoli e comunità in situazioni tragiche.

 

Con gli abiti insanguinati che bruciano nei campi profughi ai margini dei Paesi limitrofi del Kosovo brucia adesso dunque anche la carta dell’Onu, bruciano i principi della Rivoluzione francese e vanno in fumo tutte le speranze d’un mondo più umano che erano sorte dalla tragedia della seconda guerra mondiale. Immagini d’umiliazione e dolore e sconfitta morale dell’Occidente: questo è il risultato d’un intervento venuto troppo tardi, pianificato come prova della potenza della Nato e non come protezione degli oppressi.

 

Che si può fare? Spetta ora ai popoli del Sud-Est europeo dare la risposta. Alla Macedonia per prima, poiché è il Paese che ha mostrato la più grande capacità di democrazia, agli altri che le sono vicini e meno vicini e che finora si sono male sciolti dai condizionamenti del passato: all’Albania, così investita dagli eventi, che deve scegliere tra farsi travolgere oppure trarre occasione per uscire dalla condizione di centralismo impotente e organizzazioni illegali troppo potenti e risorgere finalmente con una vera democrazia; alla Bulgaria, che potrà trovare nella collaborazione serena con  i vicini la forza per la trasformazione moderna cui tende e di cui è capace; alla Grecia che deve capire da questi eventi quanto sono nocivi i discorsi aggressivi del suo Patriarca e quelli nazionalistici di alcune frange politiche e come essi possono essere semi di future sciagure;

Alla Turchia che ha bisogno d’una nuova svolta che sia grande e profonda come quella compiuta un tempo da Atatürk. La Turchia può ritrovare l’unità nazionale aprendo un dialogo con i Kurdi, suoi fratelli musulmani, che assicuri loro nel quadro dello Stato unitario le autonomie amministrative e le libertà di tradizioni e di cultura ed anche una rappresentanza nelle più alte sedi politiche. I Kurdi a loro volta devono rendersi conto che la  loro comunità storico- linguistica può riaffermare la propria identità e rifiorire nelle proprie tradizioni anche in seno a unità  politiche più vaste. Si guardi agli accordi che l’Ungheria ha firmato con la Slovenia e con la Romania e se ne prenda esempio.

 

Ciò che l’Occidente non ha saputo fare, lo facciano gli Stati del Sud-Est europeo. Essi in  questo modo potranno entrare in Europa non come i poveri nella casa del ricco ma come coloro che hanno un prezioso bene da apportare: un patrimonio morale, un patto di stabilità, di pace e di sviluppo.

         I popoli del Sud-Est europeo devono ricordare che i nazionalismi non sono il patriottismo, non costituiscono un’antica virtù ma un male recente: essi sono una forma avvelenata di esaltazione di sé contro l’altro, qualunque altro, che è sorta nel secolo scorso e si è affermata come forza politica devastatrice in Europa agli inizi del secolo scorso. L’Europa si è liberata del nazionalismo con la seconda guerra mondiale. Spetta adesso ai popoli del Sud-Est europeo: questi infatti hanno troppa ricchezza di tradizioni popolari e dotte per lasciare cadere questa occasione. All’egoismo americano, all’ignavia europea essi mostrino di essere i veri eredi delle grandi culture mediterranee: cristiana, islamica e laiche, le quali tutte nel loro momento di splendore sono state profondamente umane e vengano all’unione con l’Occidente portando come grande dono la rigorosa morale politica che l’Occidente ha smarrito.