Cinemamed si conclude con una rassegna su Salah Abou Seif

A Napoli in anteprima le opere del grande regista egiziano

 

di Michele Capasso

 

Si conclude in questi giorni a Napoli il progetto Cinemed, sostenuto dalla Commissione europea con il programma Euromed Audiovisuel e coordinato dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo con 27 partner dei Paesi euromediterranei.

Nel corso di 3 anni Cinemamed ha svolto un’importante azione di promozione del dialogo interculturale attraverso la diffusione delle principali opere cinematografiche dei Paesi arabo-mediterranei: 8 festival svolti in grandi e piccole città (Palermo, Edimburgo, Bologna, Madrid, Lisbona, Amman, Lecce, Cattolica); due seminari di alta formazione per sceneggiatori svolti a Beirut il primo ed il secondo in programma a Marrakech dal 12 al 18 dicembre 2002; una importante inedita rassegna sull’opera del grande regista egiziano Salah Abou Seif:senza dubbio uno dei più autorevoli e rappresentativi registi del cinema egiziano.

Ha esordito nel 1940 ed ha realizzato ben quarantuno lungometraggi, alcuni dei quali sono ritenuti capolavori del cinema arabo. Abou Seif è considerato il cineasta che meglio ha rappresentato la società egiziana negli anni Cinquanta e Sessanta, cogliendone le trasformazioni e facendo vivere le forme più originali della sua cultura. Collaboratore abituale del Nobel per la letteratura Naguib Mahfuz – che ci ha concesso un’inedita intervista parzialmente riportata a lato - , Abou Seif ha descritto con estrema sensibilità i caratteri dell’uomo egiziano, che ha colto sia nei momenti di vita quotidiana sia nella sua partecipazione ai grandi avvenimenti che hanno segnato la Storia del Paese nel secolo scorso.

Nessun regista egiziano all’infuori di Salah Abou Seif (1915-1995) può riuscire a rappresentare “l’egiziano medio” e ad esprimerlo. Nella sua opera che totalizza una quarantina di lungometraggi di fiction da Per sempre nel mio cuore (1946), il remake di Victoria Bridge dell’americano Mervyn Leroy – momento in cui si è fatto le ossa in sala di montaggio – fino a Un cittadino egiziano nel 1991, Abou Seif non ha avuto tregua nel restare all’ascolto del popolino e di raccontare la sua realtà nei suoi sogni e certezze, nei suoi dubbi e lacerazioni. La stragrande maggioranza dei personaggi – principali e secondari – dei film di questo regista, i loro corpi, i loro fatti e gesti, gli spazi dove evolvono, si inscrivono in un’appartenenza profondamente nazionale.

Nella sua monografia Salah Abou Seif, artista del popolo, il critico Saad al-Din Tawfiq scriveva che questo regista è un “ibn al-balad” letteralmente, “figlio del paese”, e di colui che vi vive, il regista amava tale definizione e ne andava fiero. Altrove, il critico libanese Ibrahim Al Ariss si è permesso di metterlo sullo stesso piano della “Coca Cola” per quel che riguarda la formazione di generazioni di cineasti egiziani e arabi. Definendo questo “figlio del paese”, Ahmad Amin scriveva: “ è colui che usa generalmente il gioco di parole (nukta) la metonimia, la perifrasi e conosce le regole della logica. Si dice anche colui che possiede un buon gusto. La maggioranza degli Egiziani credono che il Cairo sia la più elegante delle città. Dato che è fonte di vita (Umm al-Dunya), è anche fonte di buon gusto (Umm al-Duq). Dei loro proverbi: il buon gusto non ha mai lasciato il Cairo (al-Duq lam Yakhruj min misr) e Misr (Egitto) è per essi sinonimo del Cairo”.

Tra tutti i film realizzati, soltanto quattro o cinque si svolgono totalmente e integralmente fuori del Cairo. Tutto il resto o vi è inserito o tende verso la capitale. Anche in questa tensione, il movimento è verso il Cairo e raramente a partire da essa. Per la sua nascita (quartiere di Bulaq), per la sua formazione e la sua pratica del cinema, possiamo affermare che Abou Seif è il cineasta adatto a questa città.

Questo dominio della capitale non può esercitarsi senza rivelare fenomeni sociali di sregolatezza sia a livello del comportamento umano, sia a livello comunitario in cui i rapporti diventano “feudali e burocratici”. Di questo fatto, per questo “ibn al-balad” conosciuto per il suo attaccamento al paese, alle sue terre, ad ogni “perturbazione” sopraggiunto in momenti di crisi fondamentale come la scomparsa di un elemento regolatore (scomparsa o morte del padre) o le calamità (guerra, siccità, disoccupazione etc) suona come un rintocco funebre e mette i personaggi di fronte al loro destino che si dividono responsabilità e fatalità per sfociare su un comportamento deviante e raramente verso una conciliazione.

I film di Abou Seif che costituiscono le opere maestre del cinema egiziano sono gli stessi che si preoccupano di queste “perturbazioni”. Pensiamo al passaggio di Hasan da Bulaq a Zamalek nel Maestro Hasan, quello di Haridi da commesso di Abou Zayd al suo avversario, poi al suo alleato ne Il picchiatore, a Mahjoub in Il Cairo 1930, a Hasanayn prima e dopo il suo ingresso nella scuola militare in L’inizio e la fine, a Mounjid in Processo 1968, a Ahmad in I bagni di Malatili o all’amicizia fatale del becchino in Il venditore d’acqua è morto, etcç: i film più importanti restaurati fanno parte della rassegna di Napoli che poi proseguirà a Bologna e in altre città europee.

In una visione globale, il realismo di Abou Seif non è la trasposizione “oggettiva” del reale quale il documentario concepisce. L’inclusione di informazioni documentarie agli elementi drammaturgici nel corso degli eventi, l’intervento della sensibilità dell’autore – generalmente con la collaborazione di Nagib Mahfuz, Ali Al-Zurqâni, Youssef Ghurab, Salah Ezzeddine, Wafiya Khairi, Saad Eddine Wahba, Mohsen Zaid, Lenine al-Ramly per le sceneggiature e Bayram Ettounissy, Sayyid Bidir, Youssef Idriss, Lotfi al-Khouly e di altri per i dialoghi, Wafiqa Abou Jabal, Emile Bahry per il montaggio – fanno di questi film delle opere critiche che interpretano la vita e le sue trasformazioni al momento della caduta.

I film di Abou Seif sono centrati su questa perturbazione, sugli effetti degli spostamenti da un ambiente ad un altro, da una classe ad un’altra all’interno del territorio cairota.

La rassegna di Napoli è un’occasione da non perdere.