Inaugurazione Mostra documentaria e fotografica dedicata a Carlo Bernari

Accademia del Mediterraneo e Maison de la Méditerranée

21 dicembre 2002

 

 

 

Intervento del Professor Michele Cataudella Università degli studi di Salerno

 

Ci si può domandare a quale genere di romanzo si può ascrivere Il grande letto.

La domanda non è ingenua, come potrebbe sembrare, se si pensi che il valore “Linguaggio” o il valore “forma” sono campi di lavoro ancora tra i più frequentati oggi dalla critica occidentale.

 Il grande letto si potrebbe dire romanzo storico, abbraccia un periodo che va dalla fine dell’Ottocento alla morte di Feltrinelli, con quanto comporta di ricostruzione di ambienti, di costumi, di clima, si potrebbero citare le pagine di Nicolino e del suo negozio di coloniali, e più esemplarmente le pagine dedicate alla Parigi di primo Novecento la Parigi di Gertrude Stein e di Alice Toklas, del cubismo e di Apollinaire, sono pagine che lasciano trasparire citazioni indirette e l’esercizio di gusti certo diversi: la letteratura che sta dietro le pagine di Nicolino non è la letteratura che sta dietro la Parigi del primo Novecento. Oppure si potrebbe dire il romanzo metafora di un processo politico con quel flashbeak così forte dopo il primo capitolo; o potrebbe essere un bildungroman. Forse nessuno di questi generi si attaglia conclusivamente al Grande letto, nemmeno ci aiuta il giudizio che sul genere da Kundera che il romanzo oggi “non indaga la realtà, ma l’esistenza”, mi sembra, con buona pace dello scrittore cecoslovacco, un giudizio attestato su posizioni in qualche modo trascorse. C’è semmai, da richiamare la citazione di Adorno da Minima moralia che l’autore mette davanti al libro come un’ epigrafe: “gli intellettuali sono gli ultimi nemici dei borghesi e nello stesso tempo gli ultimi borghesi, in quanto si concedono ancora il lusso del pensiero contro la nuda riproduzione dell’esistenza”. Perciò mi veniva in mente il Bildungroman. Intanto anche la scrittura ha una sua qualità doppia, la prima percezione è quella di incontrare periodi chiusi sapientemente attrezzati e sorvegliatissimi, dove nulla è lasciato all’arbitrio dell’immediatezza, con qualche preziosità sintattica. A pagina 55 si legge: “ecco il suo papà in compagnia della guardia comunale vengono…” che non è proprio: “la gente dicono” del Tommaseo; e in più di un tratto affiora una pagina narrativa di trasparenza ottocentesca.

Tuttavia anche per la scrittura il sospetto di giochi sapienti e di citazioni colte sembra fondato, si vedano le pagine dedicate al quartiere (il negozio di Nicolino che sprigiona effluvii di confetteria) e alla Parigi primo Novecento. Ed è proprio la letteratura che in Bernari sta in primo piano, digerita s’intende, e resa quasi inavvertibile dal fascino discreto dell’arte del narrare. Può sembrare un emblema probabilmente inconsapevole il fatto che Dario e la bella dama misteriosa che aveva conosciuto nella libreria Hoepli si ritrovano poi per sfuggire alla caccia di fascisti in un deposito di carta, le balle di carta da rotativa sono il giaciglio- il piccolo letto – su cui si incontrano Dario e la dama misteriosa e il punto centrale del romanzo si ritrova proprio in questo episodio. A pagina 175 si legge infatti: “Dario tacque, accentuò l’abbraccio e già l’avventura si disponeva in parole” e qui che affiora la tentazione del romanzo già sottesa, di trasformarsi in metaromanzo. Non solo il piacere del racconto, e questa è un’arte che Bernari sa comunicare, ma il piacere, più sottile, di far entrare il romanzo nel romanzo. Così a pagina 196 Clara, la bella dama misteriosa: “era penetrata nel piacere del suo raccontare” e giudica subito dopo da un punto di vista esterno la razionalità narrativa della separazione da Raoul, da Adelmo, da Olga, per concludere proprio nell’ultimo periodo, che l’unica possibilità di fuga che restava a Dario “era fatta di parole nella loro obbediente duttilità di disporsi in riga per assicurare al fuggiasco di tante avventure, il piacere del raccontare”. Ora non c’è dubbio che la distanza da Il giorno degli assassini (1980) al Il Grande letto (1988) è chiaramente valutabile, e che questo romanzo si scosta dal genere proprio e, in sostanza, come dicevo in principio, non è poi un romanzo storico, non è un romanzo autobiografico e nemmeno un bildungroman in senso proprio. Bisogna ricordare il gusto delle citazioni, come dicevo, per pensare a una costruzione di letteratura che si autocontrolla, che si guarda mentre si viene facendo, e che sa tentare, intellettualmente divertita, diversi timbri, registri, toni.

Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino è del 1979, Il Grande letto ha preso l’avvio nel 1981, ma non c’è rapporto tra le due esperienze narrative, semmai è da dire che Il grande letto entra certamente da protagonista, e con i modi proprii del Bernari, nella nuova dimensione del romanzo aperta da Calvino.