Inaugurazione Mostra documentaria e fotografica dedicata a Carlo Bernari

Accademia del Mediterraneo e Maison de la Méditerranée

21 dicembre 2002

 

 

 

Intervento di Ermanno Corsi     Presidente dell’ordine dei giornalisti

 

I giornalisti sono abituati alle sintesi e quindi procederò in maniera sintetica. Tra Vanni Ronsisvalle che ci ha restituito un Carlo Bernari visto da vicino dal di dentro e l’intervento del Professore Nicola Tanda che ha inserito molto bene la figura di Carlo Bernari nella vicenda letteraria e intellettuale dell’Italia del Novecento, io finisco per essere, come si dice, il vaso di coccio tra i due vasi di ferro. Mi difenderò alla luce di questa conoscenza derivata di Carlo Bernari, derivata dalle letture, intense, fatte di giorno ma anche di notte perché quando un libro coinvolge, non si fa differenza tra giorno e notte. E poi derivata dall’essermi trovato in alcuni luoghi che erano stati luoghi di Carlo Bernari. Devo dire intanto una cosa, un apprezzamento vivissimo a Daniela Bernard la quale quando chiama, non invita ma precetta, ed è difficile resistere a questa specie di precettazione che per noi diventa precettazione quasi morale ad aderire,  perché è il suo entusiasmo, è la serietà con cui fa le cose, e questa maturità così presente in una persona ancora molto giovane, il che significa che la maturità non è un dato anagrafico. Poi mi è piaciuto questa mattina questo incontro non programmato per quanto la regia di Daniela poteva far supporre molte cose, ma non era stato programmato, il Comune di Napoli presente con l’Assessore alla Cultura per parlare di Carlo Bernari e il Comune di Gioi Cilento presente con il Sindaco Andrea Salati che è anche un collega, giornalista e pubblicista. Ed è anche significativo che il Premio Gioi Cilento che ha avuto Carlo Bernari tra i suoi primi giudici, è un premio di letteratura e di giornalismo insieme, e questo significa anche molto, come gran parte dell’ispirazione e degli stimoli di Carlo Bernari vengano dalla vita vissuta, cioè dalla cronaca e quindi da un’attività giornalistica, anche se lui non l’ha svolta da giornalista militante. Se però con la parola giornalista s’intende colui che cerca di capire tutto quello che intorno accade, ebbene Carlo Bernari era un giornalista e trasformava in messaggio narrativo ciò che la realtà gli consentiva di registrare. Quindi un premio di giornalismo e di letteratura con momenti anche di gioiosa convivialità, non a caso è Gioi Cilento, quindi una gioiosa convivialità che serve a congiungere la cultura e l’eno-gastronomia, saperi e sapori, e noi sappiamo, per testimonianza diretta, che Carlo Bernari si trovava molto bene in questa comunità dove si congiungevano i saperi e i sapori. E non a caso se si parla di Gioi Cilento come la patria del fusillo,del fusiddu, c’è uno scritto di Carlo Bernari proprio dedicato a questo. E poi un’altra cosa volevo dire, la poesia che qui ha recitata Peppe Lanzetta, di Carlo Bernari, è stata usata come prefazione qualche mese fa a un libro che ha per titolo Napoli per le scale, quindi è anche molto bello che due studiosi della napoletanità, intesa come valore alto, abbiano usato la poesia di Carlo Bernari come prefazione a questo libro dove viene raffigurata una Napoli per le scale, cioè una Napoli sostanzialmente obliqua, e quindi sostanzialmente ambigua perché è un grande organismo vivente ma pieno di contraddizioni e ambiguità da cui il titolo Napoli per le scale. Durante il dibattito di questa mattina, ci si è chiesto: se uno scrittore scrive, e la vicenda anche umana di Carlo Bernari è piena di movimento e anche piena di scrittura, più di venti romanzi e poi molte pagine saggistiche, il premio, - e qui pongo un’altra questione, cioè in cosa deve consistere un premio per uno scrittore - lo deve riscuotere in vita o in morte? Intanto bisognerebbe dire che se uno scrive perché vuole riscuotere il premio in vita allora deve fare narrativa di consumo, deve adattarsi a quelle che sono le cosiddette esigenze e logiche, perverse quanto si vuole, del mercato. Se invece un autore scrive come scrive Bernari, per questo benessere intellettuale, perché la scrittura è una grande terapia, proprio di fronte ai tanti malesseri, conflitti e travagli ai quali ognuno con la propria quotidianità si espone, rappresenta un grande benessere e una grande terapia intellettuale, se un autore scrive per un dovere morale di vedere affermare bene e con chiarezza  determinate cose, allora il premio l’autore se lo da dà sé nel momento in cui esercita, compie questo esercizio. Se poi l’autore pensa ad altri premi, allora Leopardi non avrebbe mai scritto quello che ha scritto perché a tutto poteva pensare tranne che di ricevere premi durante la vita. E ritorno a Daniela, ma pensate, a dieci anni dalla morte, che premio è per uno scrittore sapere che dopo di lui nasce una saggista e una ricercatrice che con tanta cura, tanto rigore scrive una bio-bibliografia che già di per sé è un saggio, bisogna soltanto svilupparlo, per dilatazione, e ampliarlo. Allora la sistemazione non è contraddittoria, ma è un passaggio per restituire appieno tutti i profili della vicenda umana e intellettuale di Carlo Bernari. Dico questo perché ho studiato con Salvatore Battaglia, e se c’era uno fedele ad un  metodo questi era lui, grande filologo e critico letterario. Ho fatto una tesi su Carlo Cassola, ma a quei tempi era un azzardo per l’Università di Napoli consentire di laurearsi con una tesi su uno scrittore vivente, non dico sulla contemporanea, ma su un vivente. Venivamo dalla scuola di Giuseppe Toffanin per il quale la letteratura italiana finiva con il Quattrocento e il Cinquecento, tutto il resto era un salto nel buio. Poi è venuto Salvatore Battaglia e si è aperta la luce e la luminosità. Quindi per dare una lettura molto sintetica, resta molto preciso nella vicenda di Carlo Bernari, la formazione, che giustamente è stata definita più un’autoformazione che non quella secondo gli schemi tradizionali, in un’atmosfera divisa tra il crocianesimo con i limiti che ha indicato il Professore Tanda e il socialismo anche qui con i limiti che ha richiamato Ronsisvalle. Allora Bernari, più socialista o più marxista , credo che il quesito resti aperto ed è difficile classificarlo proprio per quella esigenza che uno scrittore possiede di sottrarsi alle gabbie e alle definizioni schematiche, però quello che è certo è il dato dell’antifascismo come grande aspirazione alla libertà, e su questo è difficile oggi avere dei dubbi. Mi piace molto come una volta si è espresso Carlo Bo parlando di Carlo Bernari: “nessuna scuola, nessuna moda, molta attenzione alla cronaca, molta attenzione ai giovani”. E poi è importante collegare la sua scrittura con i tanti mestieri che ha esercitato, c’è una pluralità enorme di mestieri che anche la biografia di Daniela ricorda, le esperienze letterarie, le esperienze filosofiche fatte, naturalmente qui senza quella sistematicità del filosofo puro. E poi i vagabondaggi: Napoli, Roma, Milano, Parigi fino ad approdare a Gioi Cilento per la gioia dell’attuale sindaco Andrea Salati. Sui libri, il suo esordio sappiamo è nel 1934 con Tre operai e qui devo dire che, siccome Ronsisvalle ha ricordato il gusto che Bernari aveva per la battuta, a me piace farne una, quel titolo, è perfino un titolo profetico, se pensiamo che oggi a Napoli non ci sono più di tre operai perché la classe operaia, come dice quel famoso film di Ettore Scola “è andata in Paradiso”, con la terziarizzazione selvaggia della città forse sono rimasti tre operai, di cui due magari sono a cassa integrazione e uno è in lista di mobilità. Allora, ecco il gusto della battuta, quei tre operai hanno davvero eredi, oggi sarebbe interessante vedere come giudicherebbe questa trasformazione sociale un grande scrittore che ha saputo interpretare dal di dentro, come vita vissuta e molto partecipata. Allora perché oggi è ancora uno scrittore di grande attualità, qui la rassegna lo indica come scrittore del Novecento, io direi voce del nostro futuro, perché il suo linguaggio innovativo è ancora una lezione, quel rifiuto del folclore, anche se lo rende precursore del nuovo realismo con i limiti che sono stati indicati,  resta però un irregolare dell’esistenza che era alla ricerca travagliata e affannosa di regole credibili e soprattutto condivisibili di vita. Scrittore quindi  in solitudine che sentiva molto forte questa spinta per regole credibili e condivisibili di vita. Oggi perché si deve continuare a leggere Carlo Bernari, che parte da Napoli e finisce con il ritornare a  Napoli, perché ci spinge ad una lettura critica della nostra civiltà e delle nostre più recenti trasformazioni, come dire basta con la Napoli mobilissima e con quella napoletanità che è diventata quasi un elemento deteriore per ricostruire l’identità della città e anche per vedere come l’aspirazione rivoluzionaria presente nei Tre operai, oggi è diventata la rivendicazione dei diritti fondamentali in una civiltà che si contraddistingue più per i diritti negati che per i diritti riconosciuti. E anche per vedere dove avviene la sconfitta della città divisa per classi con il dramma di una borghesia che è ancora una borghesia largamente rinunciataria poco partecipe e poco propensa ad assumere  responsabilità sociali e la mancanza o la dissoluzione di un vero e proprio proletariato, oggi è uno dei connotati della nostra crisi, e capire perché, riferisco un’espressione molto bella che era pronunciata Giuseppe Marotta ne L’oro di Napoli, “perché questo cielo napoletano che è così bello e coinvolgente, però poi non è fratello a nessuno”, cioè non la fa buona a nessuno, per una omologazione che appiattisce e non aiuta a crescere, allora l’irregolare Carlo Bernari torna in attualità per questa spinta a ricercare dentro di sé, intorno a sé, regole certe, credibile e condivisibili di vita. Carlo Bernari allora indicato giustamente come grande scrittore del Novecento,  ma per tutte le cose che sono state ricordate, anche come voce autorevole e credibile del nostro avvenire.