Premio “Mediterraneo d’Arte 2002” a Moni Ovadia
La ricerca di novità nella vita, nel costume e nel pensiero, che è stata la forza dinamica dell’Occidente dal suo primo costituirsi, si è accelerata freneticamente nella “modernità”. Sulle società che hanno continuato con stretto rigore le loro tradizioni nei concetti e nel costume come nei modi dell’ordine sociale e perfino nelle forme dell’arte, della letteratura e della lingua, la “modernità” porta con il suo impatto una turbolenza che, a differenza di invasioni e di guerre improvvisamente sconvolgitrici ma rapide a calmarsi, difficilmente si acquieta poiché la “modernità” si confronta violentemente con convinzioni e abitudini, stravolge economie stabilite, impone la rottura di quel tessuto in cui ciascuno è racchiuso ma sicuro, bloccato ma stabile, proscioglie l’individuo e lo spinge verso prospettive lanciate sul nulla. Rottura profonda, impreparata e imprevista, generatrice
di speranze che disattende, portatrice di un messaggio illeggibile.
In tutto il mondo non Occidentale, particolarmente in quello Islamico
che non vi ritrova neppure le promesse della filosofia greca onde l’Occidente
s’è nutrito e che lo stesso Islam gli aveva in parte restituito con
la sua falsafa, le conseguenze dell’impatto sono
travolgenti, suscitano opposizioni che si abbarbicano rigidamente al
passato. In tanta preclusione e violenza difficile è il compito di chi
cerca di aprire una comprensione reciproca e instaurare un dialogo. A questo compito Moni
Ovadia ha dedicato, con lo slancio e la passione
dell'arte, un'opera assidua di ricerca e di invenzione che ha fatto
rivivere in maniera originale canti arabi e sefarditi del XIII e XIV
secolo, rievocando le comune radici di quelle culture che oggi sono
assunte a motivo di affrontamento da popoli i quali invece non possono
avere la loro rinascita se non in una nuova collaborazione e armonia.
Napoli, 4 gennaio
2002
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